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Channel: L’orologiaio miope » Biodiversita'

Esposizioni biodiversamente abili

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Una mia definizione minimalista di biodiversita' potrebbe essere "quantificazione della varieta' della vita in un luogo". La varieta' puo' riguardare cose piccole, ad esempio la variabilita' dei geni degli individui di una popolazione, o grandi, come la variabilita' delle comunita' e reti biologiche negli ecosistemi del pianeta, passando per la definizione piu' "scolastica" di numero di specie in un ambiente.

Essendo quindi un concetto che comprende diverse categorie (geni, specie, famiglia, Phyla, ecosistemi etc), seppure sia semplice, e' facile che venga male interpretato. Un po' il tragico destino della teoria dell'evoluzione: come diceva Jacques Monod, "un altro aspetto curioso dell'evoluzione e' che tutti pensano di averla capita, come filosofi, esperti di scienze sociali e cosi via. In realta' davvero poche persone la capiscono".

Anche la biodiversita' tutti pensano di aver capito in cosa consista, ma, alla prova dei fatti, i risultati sono piuttosto zen, piu' interessanti che precisi.

Oscar Farinetti, il proprietario di Eataly, ci spiega ad esempio in un'intervista rilasciata ad Alessia Gallione di Repubblica, che "l'Italia e' un luogo unico, con 58mila specie di animali diversi e 7mila di verdure". Ora, io da Eataly e' vero che ci sono stata una volta sola, ma la roverella in pinzimonio proprio non l'ho trovata, e neanche l'insalata di tillandsia e aconito. E capisco anche che il proprietario di Eataly, per deformazione professionale, confonda i taxa vegetali con le piante commestibili (non ha l'aria del boscaiolo, diciamocelo).

Quello che proprio non capisco e' la filosofia dietro il "Biodiversity Park" dell'esposizione mondiale di Milano del 2015, Expo se sei piu' trendy di me. Uno che legge "Biodiversity Park" pensa un po' a Jurassic Park, ma con altre bestie che ci scorazzano dentro. Un nome adeguato per uno zoosafari, ma anche per un grande giardino botanico, se come me non sei trendy. O choosy.

Invece e' un padiglione dell'Expo 2015. E fin qui tutto bene, uno dice "figo, all'esposizione internazionale sul cibo dedicano uno spazio per parlare di biodiversita', che va sempre piu' assottigliandosi per via di attivita' umane, come la deforestazione a scopo agricolo. Gli organizzatori devono essere persone sensibili in grado di capire il rovescio della medaglia della produzione di cibo".

E invece vai a vedere di che si tratta e ti viene la faccetta da alieno dell'"Urlo" di Munch e la mandibola ti penzola all'altezza del tibiale anteriore. Come si legge sul sito dell'Expo "Lo scopo del Biodiversity Park è valorizzare le eccellenze italiane ambientali, agricole e agroalimentari attraverso un percorso che racconta l’evoluzione e la salvaguardia della biodiversità agraria, anche grazie a un palinsesto di eventi, incontri, e esperienze multimediali"

munch_scream

Ora, di eccellenze ambientali italiane ce ne sono moltissime, ad esempio la sua ricchezza in fauna (57400 specie, circa 1/135 della fauna mondiale, oceani inclusi, di cui circa 5000 endemiche), flora (7600 specie di cui oltre 1000 endemiche, circa 1/50 delle specie note al mondo), funghi (No, sig. Farinetti, i funghi saranno anche "verdura", ma non sono vegetali, come potra' concordare notando che non sono verdi), ci sono in Italia 4200 specie solo di funghi superiori, i basidiomiceti, un numero che ammonta al 13% delle specie di basidiomiceti note al mondo. Ometteremo per semplicita' i protozoi, gli amebozoi, i cromisti, i batteri etc. Questo fa dell'Italia (del bacino del mediterraneo, a essere precisi) uno dei 25 punti caldi della biodiversita' mondiale, insieme ad esempio con la foresta atlantica, il Madagascar e le Filippine. Questo e' qualcosa di cui andar fieri e al tempo stesso essere preoccupati, e in una esposizione mondiale sarebbe stato bellissimo evidenziare quanto rischiano gli ecosistemi sotto la pressione del dover nutrire 7 miliardi di esseri umani (un punto caldo di biodiversita' e', per definizione, un'area ad altissima biodiversita' minacciata dalle attivita' umane).

Invece, di che si parla? Della "biodiversita' agraria". In pratica delle varieta' coltivate e selezionate dall'uomo. Come il sito stesso dell'Expo ci illustra, "il termine agro-biodiversità si riferisce all’insieme delle specie vegetali coltivate e degli animali allevati in agricoltura, degli agroecosistemi e dei paesaggi agrari, alle risorse genetiche di piante e animali, piante commestibili e colture agrarie, varietà tradizionali e antiche ricette, animali da allevamento, pesci, microrganismi del terreno, acque irrigue e terre coltivate, sementi, tipologie di aziende agrarie". In pratica non si parla affatto di biodiversita'.

Si fa invece un'apologia esattamente del principio opposto. Un campo coltivato, per quanto biodinamico, ogm-free, biologico e coi sacrifici umani alla dea madre a ogni luna rossa, e' un deserto rispetto alla foresta che e' stata tagliata per fargli spazio. I cultivar di una pianta o le razze di allevamento, per quanto differenti, non possono compensare ne' la perdita della diversita' genetica della specie da cui derivano le varieta' selezionate ne' la perdita dell'habitat necessario a coltivare/allevare quelle specie. Per quante specie di mucche esistano, derivano sempre da un piccolissimo numero di uri, quindi da un collo di bottiglia genetico (alla faccia della diversita'), e nessuno puo' sognarsi di comparare la biodiversita' delle foreste europee del paleolitico, l'ambiente in cui si sono evoluti gli uri, gli antenati selvatici delle mucche, con l'Europa attuale, che e' un'immensa distesa di pascoli e campi coltivati con qualche chiazza di alberi qua e la' sui monti.

Certo, e' bello che si cerchi di selezionare piante che hanno bisogno di meno acqua, o resistenti ai parassiti, servono a nutrire i sette miliardi riducendo magari un po' anche il taglio delle foreste, ma non e' questo il messaggio degli organizzatori dell'Expo'. Il messaggio dichiarato e' il seguente: "Parlare di alimentazione e di futuro del Pianeta, sfide globali per assicurare nutrimento e sviluppo sostenibile, significa fare un chiaro riferimento alla biodiversità agraria, alla sua evoluzione e alla sua salvaguardia, anche grazie a un metodo agricolo, quello biologico, che per sua vocazione svolge un compito molto importante nella conservazione e nella implementazione della biodiversità". Ma col cavolo! (Brassica oleracea, var. oleracea, quello selvatico, per dire, non Brassica oleracea, var.botrytis, il cavolfiore, o Brassica oleracea, var.italica, il broccolo).

In sintesi, quello che io leggo, e' un totale travisamento del concetto di biodiversita', che viene usato per parlare esattamente dell'opposto, ovvero di come eliminare la biodiversita' del pianeta: un campo biologico, per sua natura, ha bisogno di molto piu' spazio e nutre meno persone di un campo di agricoltura intensiva, che sia di OGM o di ibridi selezionati per sostenere la competizione delle altre piante, per non parlare della resistenza ai parassiti. Piu' spazio per l'agricoltura biologica significa quindi meno foreste, e meno biodiversita'. Non e' un concetto difficile.

Solo che l'expo si muove in una direzione ideologica piu' che scientifica, evidente dall'aver fatto propri i principi dello slow food e dall'aver scelto Vandana Shiva come testimonial. Si puo' essere d'accordo o no con questa ideologia, ma penso che sia necessario chiarire che mettere su uno spazio con addirittura "cinque paesaggi diversi" e' quello che forse un vetrinista puo' accostare alla biodiversita', ma e' una rappresentazione scientificamente non solo scorretta, ma anche fuorviante.

"I paesaggi tipici di queste cinque aree sono evocati non con singoli alberi, ma con associazioni di piante e paesaggi". Incredibile! Addirittura non con singoli alberi? L'unica cosa che mi sembra ci sia qui in esposizione e' la mancanza di cultura scientifica degli italiani. Very bello.


Cecil & co.

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C'e' un messaggio nella storia dell'uccisione di Cecil il leone che chi si occupa di conservazione e di comunicazione dovrebbe imparare. Di leoni uccisi piu' o meno legalmente e in modo piu' o meno brutale ce ne sono centinaia ogni anno, i numeri sono in calo, la specie e' in pericolo. Ricercatori e conservazionisti protestano, scrivono articoli scientifici, occasionalmente scrivono sui giornali, a volte una persona famosa ne parla sui social ma niente succede, e' un messaggio urlato da un muto a dei sordi, che rimane del tutto inascoltato.

cecil

Poi qualcuno tocca Cecil il leone, quello bello con la criniera nera e il radiocollare figo dell'universita' di Oxford, e il demente che lo ha ucciso si ritrova i picchettaggi sotto casa e i messaggi di morte su Facebook (i picchettaggi li condivido, ma sui messaggi di morte non saro' mai d'accordo, li trovo vergognosi). Qui c'e' una lezione di comunicazione che bisognerebbe capire, e magari imparare a gestire, perche' avere l'opinione pubblica dalla parte di una buona causa e' importantissimo.

Ci sono delle specie, per lo piu' grossi mammiferi, definite "specie ombrello" perche' la loro protezione protegge, come un ombrello, tutte le altre che ne condividono l'habitat.

All'interno di queste specie alcuni individui diventano particolarmente importanti dal punto di vista mediatico, perche' diventano "iconici" per rappresentare non solo la loro specie, ma anche i sentimenti  umani che si proiettano in loro.

Ed ecco che Cecil il leone diventa l'emblema della forza "onesta" e pura degli animali, brutalmente annichilita dalla vilta' umana, come in una favola di Fedro. Se Cecil-Simba avesse squartato Bambi o Pumbaa sarebbe stato po' un problema, ma per fortuna le telecamere erano spente quando e' successo.

L'orsa Daniza e' diventata la proiezione dell'amore materno che difende i piccoli contro i pericoli dell'uomo crudele (forse qui piu' Esopo che Fedro), ma la sua disavventura finita male ha fatto scoprire a tutti che esiste un progetto di reintroduzione di orsi sulle Alpi

Marius il giraffino ucciso nello zoo di Copenhagen, icona degli animali tenuti "ingiustamente" in cattivita' negli zoo, e' diventato un simbolo di infanzia brutalmente violata (sempre dall'uomo, il cattivo di queste storie e' sempre Lui).

... e cosi' via, di esempi ce ne sono decine.

quello che accomuna questi animali e' di avere un nome, di essere grandi mammiferi che tutti amano per effetto Bambi, perche' sono gli animali che popolano le nostre favole di bambini, perche' sono simboli di caratteristiche umane, perche' sono belli e pelosi e, diciamocelo, facili da antropomorfizzare. In qualche modo diventano "pet" astratti, mascottes in cui si vedono rispecchiati dei valori importanti. Uccidere questi individui (e solo loro) significa andare a colpire quei valori etici importanti per la nostra societa' (la forza onesta, l'amore materno, l'innocenza etc.).

Lo aveva ben intuito Antoine de Saint-Exupéry nel suo "Piccolo Principe":

"Gli uomini" disse la volpe, "hanno dei fucili e cacciano. E' molto noioso! Allevano anche delle galline. E' il loro solo interesse. Tu cerchi delle galline?"
"No", disse il piccolo principe. "Cerco degli amici. Che cosa vuol dire "<addomesticare>?"
"E' una cosa da molto dimenticata. Vuol dire <creare dei legami>..."
"Creare dei legami?"
"Certo", disse la volpe. "Tu, fino ad ora, per me, non sei che un ragazzino uguale a centomila ragazzini. E non ho bisogno di te. E neppure tu hai bisogno di me. Io non sono per te che una volpe uguale a centomila volpi. Ma se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno l'uno dell'altro. Tu sarai per me unico al mondo, e io saro' per te unica al mondo".

Chissenefrega se il dentista psicopatico che ha ammazzato Cecil era gia' sotto processo in America per aver ammazzato un orso, sempre con l'arco (quanto ci impiega un orso a morire per un colpo di freccia?). Quello era un orso anonimo, non lo conosciamo, che importa se gli americani hanno meno orsi bruni che l' Europa e li ammazzano in modo doloroso e barbarico? A noi importa di Cecil e di mamma Daniza.

Anche l'orsa MJ2, ora ricercata per aver attaccato un podista per proteggere i suoi cuccioli, rischia di fare la fine di Daniza o, nella migliore delle ipotesi, di finire i suoi giorni in un recinto al Casteller, e i piccoli rischiano di non passare l'inverno. Solo che, a differenza di Daniza, questa orsa viene indicata solo con una sigla, e ce ne sentiamo un po' piu' distaccati, sappiamo poco della sua storia, e poi siamo tutti presi da Cecil adesso.

Forse, potrebbe essere una buona idea dare un nome agli individui di specie in pericolo su cui si vuole catalizzare l'opinione pubblica. Per MJ2 e' stato proposto il nome Minnie. Ce la fa gia' sentire piu' vicina, solo pensare che Minnie sta per fare la fine di Daniza.

Si potrebbe scegliere un globicefalo a caso di quelli che hanno la rotta estiva nei pressi delle isole Faeroe e che vengono trucidati ogni anno, uno solo, e chiamarlo che so, Charlie. E se qualcuno lo tocca, l'anno prossimo... lo slogan Je suis Charlie c'e' gia', non bisogna neanche crearne un altro, e magari finalmente si riesce a fare una campagna di pubblica vergogna contro le Faeroe. Non perche' i globicefali siano specie a rischio, ma perche' non c'e' motivo se non una tradizione barbarica per continuare a sbuzzare cetacei ogni anno.

I quattro rinoceronti bianchi settentrionali rimasti al mondo li si potrebbe chiamare John, Paul. Ringo e George, e i Beatles non si toccano, soprattutto ora che i rinoceronti ci sono stati presentati personalmente. Non mi stupirebbe se il dentista psicopatico o un amico suo cercassero di ammazzarne uno o piu', magari con le freccette, per l'unico motivo che stanno finendo e bisogna sbrigarsi ad approfittare dei "saldi di stagione". Bisognerebbe spargere la voce che se qualcuno tocca Paul magari sir Paul, quello vero, gli mette una taglia sulla sua, di testa.

Suggerisco di scegliere un lupo maremmano a caso e chiamarlo Francesco, e di dire che e' amico del papa.

Non si toccano i pet. Neanche quando sono selvatici. Mi sembra questa l'eredita' di Cecil. Oramai quella della conservazione della megafauna e' una guerra persa di cui stiamo combattendo battaglie di retroguardia. Sono certa che antropomorfizzare un leone o un globicefalo sia un'arma psicologica non vietata dalla convenzione di Ginevra, e ben venga se serve a procrastinare di qualche anno l'estinzione di un'altra specie di grande mammifero.

Xylella: un nuovo, micidiale vettore?

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Stando alla letteratura scientifica e alle conferme datemi dai ricercatori dell'Universita' di Bari, la sputacchina, l'insetto cicadellide Philaenus spumarius, sembra essere al momento l'unico vettore della temibile Xylella fastidiosa varieta' CoDiRo, il batterio responsabile del disseccamento rapido degli olivi che sta mettendo in ginocchio l'agricoltura salentina. Visto il quadro, la presenza di un unico vettore e' quasi confortante. Ma se la situazione stesse cambiando?

Sembra infatti che la sputacchina stia mutando molto velocemente, sotto l'influsso di pressioni ambientali enormi come la monocoltura dell'olivo, il terreno desertificato e l'uso eccessivo di fitofarmaci, pesticidi come ad esempio l'erbicida Roundup passato alla ribalta per i suoi potenziali effetti sull'ambiente. E' ben noto che mutate condizioni ambientali possono contribuire ad accelerare fenomeni di microevoluzione selezionando geni piu' adatti al nuovo ambiente, e portando cosi' alla speciazione.

Da ricerche ancora non pubblicate sembrerebbe sia proprio quello che sta succedendo alla sputacchina. Mi sono recata ieri a incontrare la ricercatrice americana Olga Santomonte Queeny, entomologa agraria e visiting professor del California Institute of General Studies all'universita' di Lecce.

sputacchina

Mi ha mostrato quello che, secondo quanto mi dice, potrebbe essere un fenomeno preoccupante e che non bisognerebbe sottovalutare: una sputacchina mutante. L'insetto e' dotato di ben otto (invece che sei) zampe, che pare le conferiscano un vantaggio ad aggrapparsi agli olivi nel ventoso paesaggio salentino, e di uno stiletto piu' lungo che succhia piu' linfa, necessario in un ambiente soleggiato come quello salentino. Dispone inoltre di setole particolari per proteggersi dalla salsedine marina. Non ci sono ancora dati certi, mi spiega la dottoressa Santomonte con un pesante accento degli Stati Uniti del sud, ma e' possibile che questa maggiore efficienza succhiatrice si traduca in una maggiore capacita' di trasmettere xylella, che vive nei vasi xylematici degli olivi.

Non e' chiaro tuttavia, mi spiega ancora, se queste mutazioni siano dovute alla semplice pressione evolutiva o se siano l'effetto di un qualche mutageno. Secondo la ricercatrice, l'esposizione delle uova della sputacchina a un'eccessiva dose di Roundup, potrebbe aver causato una mutazione in uno dei geni Hox dell'insetto, responsabili della struttura del piano corporeo, ma sarebbe necessario confermare in laboratorio questa ipotesi.

Il sequenziamento parziale del DNA dell'insetto indica al momento una mutazione nel gene Apr-1, responsabile della sensibilita' ad alcune tossine degli escrementi bovini, e di un tratto non codificante nel cromosoma W. Se confermate, queste mutazioni potrebbero portare a una distanza genetica dalla comune sputacchina superiore allo 0.25, e sottendere quindi l'esistenza di una nuova specie o sottospecie, momentaneamente indicata come Philaenus spumarius nandupopui.

"Non abbiamo ancora pubblicato i dati", mi spiega la ricercatrice, "nel timore che si scateni la caccia alla sputacchina a otto zampe. Stiamo valutando in laboratorio possibili rimedi mirati contro questo mutante. Abbiamo notato ad esempio che l'esposizione ad alcune particolari vibrazioni ne danneggia le uova e le ninfe ai primi instar. Stiamo quindi sottoponendo in laboratorio le uova a vibrazioni di vario tipo per studiarne gli effetti. Al momento, le vibrazioni sonore indotte dal ragamuffin sembrano essere quelle piu' efficienti".

Dopo xylella, insomma, ora ci mancava anche la sputacchina mutante a minare il bellissimo paesaggio naturale salentino

Zoo, gorilla e conservazione. Forse e' tempo di cambiare

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Nel 1895 lo zoo di Cincinnati ospitava qualche decina di mammiferi, qualche centinaio di uccelli, e un centinaio di Sioux. Si, avete letto bene: al posto dei gorilla, c'erano i nativi americani della popolazione Sicangu Sioux, che fruttarono allo zoo, prossimo alla bancarotta, $ 25.000 in tre mesi. Il direttore dello zoo li trovo' disperati, dopo che erano stati sfruttati da un Wild West Show, a cui avevano aderito perche' ridotti alla fame, dato che i loro bisonti erano scomparsi sotto i colpi delle carabine. Tre mesi di pasti gratis in cambio di star li nel recinto dello zoo era meglio che morire di fame. Il successo in termini di pubblico fu cosi' grande che l'anno successivo altri 89 Sioux furono esibiti. Fortunatamente, nessun bambino di quattro anni cadde nel loro recinto  in quel periodo.

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Un Sioux dell'etnia Cree esibito come attrattiva allo zoo di Cincinnati nel 1896. Fonte

Lo zoo di Cincinnati, tuttavia, non era il solo a esibire esseri umani: tra il 1870  e l'inizio del 1900 era pratica comune per molti zoo, soprattutto europei esibire, in mezzo agli animali esotici, anche etnie umane che venivano considerate curiosita', come gli inuit, i samoani, i nubiani e in un caso una donna koi-san dai pruriginosi caratteri sessuali secondari leggermente differenti. Questi esseri umani venivano visti un po' un gradino sotto rispetto agli europei nella scala evolutiva, una specie di anello di congiunzione tra noi e gli altri primati, e quindi era accettabile esibirli allo zoo, dove li si poteva ammirare e ci si stupiva dei loro costumi (o, in alcuni casi, dell'assenza dei medesimi). Parigi, Amburgo, Anversa, Barcellona, Londra, New York ed, ebbene si, anche Milano, hanno esibito persone di altre etnie come noi oggi facciamo coi leoni, con le zebre, e coi primati superiori come gorilla, scimpanze' e bonobo, i nostri cugini piu' prossimi.

Non lo facciamo piu'. Dopo il 1930 e, sopratuttto, dopo la seconda guerra mondiale, la sensibilita' e' cambiata. Abbiamo capito molte cose e ora ci sembra un'esecrabile bestialita' esibire una donna koi-san o una famiglia di inuit (che morirono tutti di varicella in Germania, perche' all'epoca non c'era la vaccinazione). La cosa desterebbe riprovazione e condanna in tutte le societa' oggigiorno, e i social si solleverebbero sino a esplodere.

Tuttavia, gli zoo esibiscono ancora creature con cui condividiamo sino al 98% del DNA: tutti i principali zoo del mondo ospitano gorilla, scimpanze', bonobo e oranghi, tutti animali  con un'architettura mentale e un'intelligenza comparabile alla nostra, che si sono coevoluti con i nostri antenati per milioni di anni e che giocano, sognano, cacciano, si vogliono bene e forse hanno addirittura un senso metafisico di spiritualita'. Creature dall'intelligenza acuta e profonda ma spesso imperscrutabile per noi, chiuse in recinti piccoli, a volte di solo cemento, sotto lo sguardo curioso e spesso invadente di milioni di umani, per tutta la vita.

Il vento sta cambiando, e tra qualche decennio ci  sembrera' probabilmente una barbarie aver esibito in uno zoo questi animali cosi' come ora ci sembra una barbarie aver esibito gli inuit allo zoo di Amburgo. La morale e' in continua mutazione, evolviamo concetti differenti adattandoli a epoche differenti. I romani facevano gli spettacoli coi gladiatori e coi cristiani (ma nessuno menziona mai i leoni, povere bestie, tenuti in condizioni spaventose per i criteri moderni). Nel medioevo facevano girare gli orsi ballerini, ma non e' che i benandanti friulani processati dall'inquisizione se la passassero tanto meglio. Nella belle epoque mettevano i nubiani allo zoo di Parigi. Nell'epoca moderna teniamo in gabbia i primati superiori, anche se ci scandalizziamo del trattamento che i cinesi infliggono agli orsi. Passera' anche questa, col tempo, e forse ce ne vergogneremo un po'.

Nel frattempo, occorre gestire queste creature, che certamente non possono essere prese da uno zoo e rilasciate in una foresta del Congo, dopo essere nate in cattivita' ed essere state allevate da esseri umani. Non lo apprezzerebbero piu' di quanto lo apprezzereste voi, se foste rilasciati da una prigione per essere "liberati" nudi, senza cellulare e carte di credito, in una foresta della Rift Valley da dove proviene la nostra specie. Durereste pochissimo, e anche loro.

In un mondo ideale, i grandi primati dovrebbero essere spostati dagli zoo e ospitati in apposite strutture dove continuare dignitosamente la propria esistenza, come successo a Sandra, la trentenne orangutan dello zoo di Buenos Aires, a cui un tribunale ha garantito lo stato di "persona non umana", e il giovamento di godere dei diritti umani  come ad esempio la liberta', dato che condivide con noi il 97% del DNA. Nata in cattivita' in uno zoo tedesco e spostata in Argentina in tenera eta', Sandra non puo' tornare in Borneo, ma ora puo' sicuramente godersi una tranquilla vecchiaia in un bel parco, lontano da sguardi indiscreti.

La cosa non vale naturalmente solo per gli zoo, ma per tutte quelle situazioni dove i grandi primati sono trattati come "oggetti" e non come soggetti di diritti basilari.

Questo video mostra la reazione di un gruppo di scimpanze' rilasciati  in un santuario, dopo essere vissuti trent'anni in un istituto di ricerca per la sperimentazione sull'HIV. Sfortunatamente molti furono catturati da cuccioli dallo stato selvatico e le loro madri uccise per sottrarglieli. Non si discute certamente in questa sede la necessita' della sperimentazione sugli animali, sfortunatamente in molti casi ancora indispensabile, ma fa piacere sapere che pian piano anche in quel campo le cose, e sopratutto i modi, cambiano. Ci si auspica che i grandi primati, tutti a rischio di estinzione, vengano presto esclusi dalla lista delle cavie di laboratorio. Pian piano, la nostra sensibilita' cambia e non c'e' bisogno di distruggere i laboratori per questo, cosi' come nessuno zoo e' stato distrutto per far si che gli esseri umani non vi venissero esibiti. Sono altre le strade da percorrere per la variazione dell'etica e del rispetto, e molte sono inaspettate.

Il grosso problema e' che le strutture di riabilitazione costano, solo quella per ospitare gli scimpanze' del video e' costata 3 milioni di euro, a cui ci sono di aggiungere i costi di gestione e i salari degli operatori per tutta la durata della vita degli scimpanze', supponendo che non siano in gradi di riprodursi. Sarebbe utopico, e soprattutto incredibilmente stupido, mettersi a urlare che gli animali debbano essere liberati dagli zoo. Dove vanno? A spese di chi? Possiamo permetterci a stento di ospitare le famiglie dei rifugiati, sarebbe accettabile investire tanti soldi all'improvviso per creare santuari per gli animali degli zoo? Non e' una questione di benaltrismo, ma di risorse limitate, ahime'.

In Italia gli zoo sono spesso (ma non sempre) gestiti dallo stato, mentre in nord Europa sono fondamentalmente delle ONLUS che devono far quadrare i bilanci, e a questi si aggiungono naturalmente gli zoo privati. In pratica quindi gli animali devono far profitto e i gorilla devono "guadagnarsi la pagnotta". Per brutto che possa sembrare, nel caso dei gorilla in particolare la situazione non ha molte vie di uscita. In natura il loro numero e' in calo costante, soprattutto per via della situazione politica in Africa che rende la loro conservazione in situ difficile e rischiosa anche per gli esseri umani. Gli zoo garantiscono di ospitare una popolazione che offra la minima variabilita' genetica necessaria per evitare la consanguineita': dovessero i gorilla africani estinguersi tutti, rimane comunque un pool genetico da cui attingere per le reintroduzioni in natura e ripartire da zero, come e' avvenuto per l'orice del deserto, per il cavallo di Przevalski o per il cervo d'acqua cinese. I santuari costano troppo, quindi se altro manca al momento l'unica possibilita' e' far pagare un biglietto agli umani, con cui mantenere in piedi la struttura, ovvero lo zoo. Triste, possiamo protestare quanto vogliamo, ma cosi' stanno le cose, la sopravvivenza dei nostri parenti "poveri" e' oramai del tutto integrata nella nostra politica ed economia, almeno sino a che non si riuscira' a dare una svolta alla situazione. Ma sinche' siamo in questa fase di transizione bisogna fare i conti con la realta'. Battere i piedi per terra e smettere di respirare fino a diventare blu per protesta non sorve passati i cinque anni di eta'.

Se quindi il destino di questi animali e' legato al nostro, si puo' comunque, anzi si deve, fare in modo che questi animali vivano in condizioni meno degradanti possibili.  Tutta la storia del bambino e del gorilla allo zoo di Cincinnati dimostra in effetti che di strada da percorrere ce n'e'. In breve la storia e' questa: un bambino di quattro anni sfugge al controllo dei genitori, cade nel fossato con acqua che circonda il recinto dei gorilla, viene trovato da Harambe, un giovane silverback, che confuso alternativamente assume posture di difesa nei confronti del bambino e lo trascina per una caviglia nel fossato. Le autorita' dello zoo decidono che la cosa piu' sicura per il bambino e' uccidere il gorilla, Harambe viene soppresso con un colpo di fucile, e il bambino ne esce illeso. Nessun lieto fine per una delle specie di mammifero piu' a rischio di estinzione, lieto fine per un rappresentante di una specie invasiva che quota sette miliardi di individui. Si poteva agire diversamente?

A quel punto probabilmente no, se si voleva la certezza che il bambino ne uscisse incolume. Se il bambino fosse stato ucciso dal gorilla probabilmente lo zoo avrebbe dovuto chiudere per un lungo periodo, causando problemi sia a tutti gli altri animali sia al personale. Probabilmente Harambe non gli avrebbe torto un capello, ma il direttore non se l'e' sentita di rischiare. Un anestetico su un animale cosi' grande agisce lentamente, avrebbe potuto innervosire il gorilla che anche involontariamente avrebbe potuto far del male al bambino, ad esempio cadendogli sopra.

Il web e la polizia biasimano i genitori del bambino ma secondo me gli unici, veri responsabili sono due: il direttore dello zoo e il responsabile della sicurezza.

Ecco una mappa del recinto dei gorilla (fonte)

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Come si vede, il pubblico osserva i gorilla da una balconata decorata con dei cespugli. Troppo bassi per dare un senso di privacy ai gorilla, ma abbastanza lussureggianti per dare un senso di "solidita" inesistente a un bambino che si arrampicasse sul parapetto. E anche un ottimo appiglio per qualunque malato di mente, suicida, adoratore del dio gorilla, terminator di grandi scimmie e cosi' via che volesse saltare i circa tre metri di profondita' (ricordiamo che malgrado la prospettiva il salto e' abbastanza basso che il bambino non ha riportato lesioni per la caduta.

harambe

I gorilla sono alla merce' di qualunque tiratore di fionda, lanciatore di lattine, gattara preoccupata che i gorilla non siano nutriti a sufficienza e cosi' via, e i fatti dimostrano che quella balconata non e' sicura neanche per il pubblico. Se il bambino fosse caduto testa in avanti sarebbe morto. Nessuna rete di sicurezza protegge i gorilla dagli psicopatici e il pubblico dalla propria assoluta stupidita'. Ciononostante, lo zoo ha gia' riaperto senza nessuna modifica strutturale, come se nulla fosse successo. Mi sembra un fatto gravissimo. Uno splendido rappresentante (geneticamente parlando) di una specie a gravissimo rischio di estinzione viene soppresso malgrado sia dubbio che la cosa fosse realmente necessaria, la specie perde diversita' genetica (siamo praticamente al punto in cui anche il genoma di un individuo fa la differenza), e nessuna misura si prende per cui questo non possa ripetersi. Una pallottola e via, the show must go on, chissenefrega della conservazione. Ma non era quello lo scopo degli zoo moderni? Capisco la necessita' di riaprire il resto dello zoo per quel famoso profitto che tiene in piedi la baracca, ma quel recinto dimostrato di avere pecche ed e' criminale non prendere provvedimenti.

Questo non toglie che i genitori del bambino siano degli irresponsabili a cui nulla importa del resto del mondo (la madre del bambino non ha rilasciato _alcuna_ intervista in cui si dichiara dispiaciuta per la perdita della vita del gorilla a causa della stupidita' sua e dell'indisciplinatezza di suo figlio). Le autorita' dello zoo hanno pero' il dovere morale e materiale di proteggere gli animali che ospitano da potenziali pericoli. e non l'hanno fatto. Sono quindi secondo me in prima persona responsabili di quel che e' successo e, quel che e' peggio, per minimizzare la propria responsabilita' affibbiano tutta la colpa alla famiglia (irresponsabile) che ha pagato il biglietto per lo show. A questo si aggiunga che e' davvero difficile dire come sarebbe terminata la vicenda senza l'intervento dei tiratori scelti. Non sono una primatologa, ma Frans de Waal lo e', e anche lui si dichiara molto dubbioso dell'epilogo della storia.

In questa situazione, l'unica cosa davvero possibile e' la prevenzione degli incidenti, anche con continue esercitazioni del personale. Se i responsabili ne non sono capaci, dovrebbero assumersi le proprie colpe e andarsene a casa. Piuttosto che lanciare inutili petizioni sull'onda dell'emozione, io ne farei partire una per licenziare il direttore dello zoo e il responsabile della sicurezza.

Perche' Harambe era mio cugino e avrebbe avuto diritto a un'esistenza dignitosa.

Il bambino col secchiello (Puer attila)

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Il Bambino col Secchiello (Puer attila) e' un primate classificato come "least concern" dalla IUCN, ma in realta' di "concern" ne offre parecchio, considerata la sua peculiare etologia.

La specie  in estate migra sulle scogliere e sulle spiagge munito del suo organo di raccolta, il secchiello. Trattandosi di una specie opportunista, il Puer attila preda tutto quello che si muove: granchiolini (la sua specie preferita), pesciolini, meduse, patelle, polpi, ricci di mare, oloturie, a volte aiutato dai membri piu' anziani della specie, aiutanti al nido non piu' nell'eta' giusta per predare col secchiello, ma molto malinconici del loro glorioso passato di predatori. I Puer attila piu' organizzati sono a volte muniti anche di retino.

Al sorgere del sole il Bambino col Secchiello si sposta verso la battigia, dove incomincia instancabile la sua opera di raccolta. Una volta catturata una preda, la ripone poco delicatamente nel secchiello, che riempie opportunamente di acqua marina fangosa, di acqua della fontanina o, in alcuni casi, di acqua naturale oligominerale. Sedata la preda in questo modo, comincia la parte sociale della sua etologia. Con sordi richiami gutturali polifonici il Puer attila chiama a raccolta i conspecifici per mostrare loro la preda. La vittima piu' pericolosa, come una tracina o una medusa, fa guadagnare al primate status sociale nel branco,  e gli permette di camminare gongolando per la battigia mostrando la preda agli esemplari di sesso opposto per vincerne l'ammirazione.

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Verso l'ora di pranzo il secchiello e' a volte pieno di infelici creature e il Puer attila e' pronto a passare alla seconda parte della giornata, che consiste nel lasciare il secchiello sotto il sole per ore, mentre l'acqua si riscalda lentamente. In alcuni casi le specie piu' pregiate come le meduse vengono sepolte ancora vive sotto la sabbia bollente, probabilmente per consumo successivo come fanno gli scoiattoli.

Verso il tramonto il Puer attila si ricorda del secchiello e va a vedere lo stato delle sue prede. Se le creature sono morte le ributta in acqua con disgusto, e il giorno dopo ricomincia la sua infaticabile opera di pulizia etnica. Se sono invece ancora moribonde se le porta nel suo rifugio, dove gongola anche due giorni mentre le osserva morire lentamente.

Io ero una Puer attila parziale, nel senso che non ho mai catturato animali, ma se ne trovavo di vivi  li mettevo in piccoli contenitori per osservarli, illusa che si sarebbero salvati. Nessuno mi ha mai detto come girava il mondo, e ho dovuto aspettare l'eta' della ragione per capire. Mia nipote pero' ha me che le faccio lezioni semplici di biologia marina. Una volta  trovammo una medusa spiaggiata. La presi per l'ombrella e la ributtai in mare, spiegando cosa sono e dove si trovano le cnidocisti e il valore di ogni songolo essere vivente, anche quelli fatti al 90% di acqua. Dopo 10 minuti una mandria di Puer attila catturo' la medusa (oggettivamente malconcia) , la fece a pezzi  e la seppelli' sotto la sabbia, sotto gli sguardi orgogliosi dei genitori. Mia nipote era quasi in lacrime, mi chiedeva di intervenire e non capiva perche' non lo facessi (i genitori dei bambini coi secchielli non avrebbero gradito la lezione di biologia, tantomeno quella di vita).

Se quest'estate vedete un Puer attila, potete provare ad ammansire gli istinti feroci della specie, ad esempio passando con una quad byke sul secchiello. In alternativa potete provare a capire i suoi versi gutturali e provare a comunicare con la creatura. E' fortemente sconsigliato, data la pericolosita', provare a interagire con gli esemplari anziani, che quasi certamente non vogliono gli OGM, non vaccinano i  Puer attila, cercano cibi rigorosamente biologici, ma guardano adoranti i loro rampolli torturare creature indifese, cosi' "imparano ad amare la natura".

AGGIORNAMENTO. Ammetto che la conclusione del post e' un po' oscura, come qualcuno mi ha fatto notare. Provo a chiarire. Gli esemplari anziani di Puer attila, maturando, acquisiscono un totale disinteresse per l'ambiente in particolare e per la scienza in generale. Questo comportamento pare sia genetico, dato che accomuna vari gruppi sociali di vari livelli di istruzione. Sono loro a decorare le spiagge con mozziconi di sigaretta, bottigliette di plastica e carte del gelato, probabilmente in un tentativo di emulare gli uccelli giardinieri. Sono sempre loro a urlare a pieni polmoni se per caso un'ape entra nella tana, probabilmente come marcatura territoriale nei confronti dell'ape. E sono sempre loro a consultare Informare per resistere e siti simili a proposito di agricoltura, ogm, pesticidi, vaccini, viaggi spaziali, deriva dei continenti, cura dei tumori a base di urina e tutto quello che riguarda in generale la scienza, dato appunto che nel tempo la curiosita' scientifica manifestata da cuccioli va scemando. Con i comportamenti che ne conseguono.

I conti della lavandaia

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Mentre pranzavo oggi mi sono immersa in un po' di calcoli aritmetici che volevo condividere con qualcuno. Non per mettervi a parte dei miei calcoli, quelli che avevo nella cistifellea, del resto, me li hanno gia' tolti, ma perche' ne ho ricevuto un'illuminazione. Mai come prima mi son resa conto di quanto gli esseri umani siano un lusso che il pianeta comincia a non potersi concedere. Siccome l'idea non ci piace, diamo la colpa ad altro, ad esempio alla "fauna problematica" (Cos'e'? Boh, ma ci fan su dei convegni), alla precessione degli equinozi che sarebbe la vera causa del riscaldamento, al meteo, al buco nell'ozono, qualunque cosa tranne il semplice fatto che siamo troppi.

Per farla breve, mangiavo dell'anguria. Secondo Google 100 g di anguria contengono 30 kcal. Dall'anguria che stavo mangiando, pesante circa 4 kg, ne ho ricavato circa 2400 g di polpa. Questo, secondo i miei calcoli, corrisponde a 720 kcal. Ammettendo che io sia in vena di fare una dieta ipocalorica, due angurie al giorno da 4 kg ciascuna mi fornirebbero 1440 kcal.

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Per nutrire tutti gli esseri umani della terra con una dieta ipocalorica occorrerebbero, quindi, 12 miliardi di angurie circa, ovvero 48 milioni di tonnellate di angurie. Al giorno. La produzione mondiale di angurie ammonta a 95 milioni di tonnellate. All'anno.

E vabe' uno dice, e' per quello che non mangiamo angurie ma riso e grano, che son piu' calorici a parita' di peso. Saremo pure scesi dagli alberi per un buon motivo, alla fine. Il riso pero' fornisce 130 kcal/100 g, quindi per nutrire una persona a 1500 kcal occorrono 1.2 kg di riso, un quarto rispetto all'anguria. Parliamo di circa 2.6 miliardi di tonnellate all'anno, se tutti mangiassimo due ciotole da 600 g di riso al giorno, per buona pace del Beri Beri e delle altre deficienze alimentari. La produzione mondiale annua non arriva pero' a 400 milioni di tonnellate. Il grano e' molto piu' calorico, 100 g di farina bianca forniscono 364 kcal, ma il grano non cresce dappertutto e la sua produzione e' limitata a certe aree, e comunque ne occorrerebbero almeno un miliardo di tonnellate l'anno, cifra impensabile.

Poi pero' ho fatto questo conto:

Ci sono circa 10-20 kcal in 100 g di insalata. Meno nell'erba, ma le mucche sono piu' efficienti nell'estrarre calorie perche' digeriscono la cellulosa, quindi diciamo 15 kcal in media, ovvero la meta' dell'anguria. Quindi se mangiassimo tutti erba come le pecore ci servirebbero circa 10 kg di erba al giorno ciascuno, ovvero 60 milioni di tonnellate al giorno per sfamare tutti. Molto meno se mangiamo cereali o legumi,  non ho voglia di fare i conti, ma comunque parliamo di miliardi di tonnellate.

Le mucche hanno bisogno invece di circa 15.000 kcal al giorno, il che fa dici volte i numeri qui sopra, 600 milioni di tonnellate d'erba al giorno. Diciamo che, se mangiassimo tutti carne, ci vorrebbe almeno una mucca all'anno ciascuno, una mucca che mangia 15.000 x 365 kcal all'anno = 5.475.000 kcal, che ricava da erba a 150 kcal per kg di erba, moltiplicato sei miliardi.

Non so quanto fa in ettari di pascolo, mi sono persa (son circa 200 miliardi di tonnellate di erba), ma e' davvero tanto. Stiamo parlando di distese agricole e pastorali grandi come continenti.

Sia chiaro,  non sto dicendo che non dobbiamo mangiare carne, sto dicendo che siamo troppi: per fare spazio a tutte queste infinite distese di pascoli e campi coltivati che ci occorrono, dobbiamo tagliare foreste, e perdere biodiversita', e piegare l'ambiente sino al collasso ecologico. Ed e' anche inutile avere buoni propositi come la crescita zero in un posto piccolo come l' Italia, quando in Asia tra indiani e cinesi c'e' quasi meta' della popolazione mondiale.

Questo blog puo' anche parlare di animali strani, ma sino a quando esisteranno creature da raccontare? La soluzione? Non ce l'ho.

2016 - qualche dato che non leggerete altrove

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Molti pensano che il 2016 sia stato un anno infausto. E non per la vittoria del Brexit, l'elezione di Donald Trump, l'ingerenza di Putin nella politica mondiale che e' diventata sempre piu' pressante, la mancanza di una soluzione alla guerra in Siria, la rinuncia americana ad aderire ai trattati di Parigi sull'ambiente etc etc, ma perche' sono morti diversi cantanti e attori famosi. In realta' a guardare le statistiche questo non e' affatto vero, nel 2016 non sono morte piu' celebrita' del solito. Se non ci credete, qui ci sono delle eccellenti statistiche, con grafici chiari anche a chi non parla inglese. Ma quello che conta e' la percezione, in questi tempi hipster.

Quello pero' che oggi i giornali e i siti che tirano le somme non ci dicono e' cosa e' successo alle altre specie, cosa che sembra non importare a nessuno: nel 2016 e' morto David Bowie, chi se l'e' mai filato un bettong? Ma siccome questo e' il blog delle creature brutte di cui non importa niente a nessuno, eccovi qui un po' di dati.

Nel 2016 la IUCN conferma o dichiara per la prima volta la perdita di 247 specie di animali e piante, contro le 10 ufficialmente dichiarate estinte nel 2015, le 47 del 2014, le 18 del 2013 e le 15 del 2012. Se il 2016 e' stato un anno di perdite, lo e' stato indubbiamente per la biodiversita' globale. Ricordiamoci pero' che in biologia si puo' affermare, ma negare l'esistenza di una specie e' una cosa molto complessa. Ci vogliono decenni di attesa dall'ultimo avvistamento prima di arrendersi, a volte ricompare una popolazione misteriosamente sfuggita ai censimenti, e comunque ci vuole anche qualcuno che si sieda (spesso gratuitamente) a fare il punto della situazione e decidere che e' arrivato il momento. La differenza rispetto agli altri anni quindi e' probabilmente che quest'anno c'e' stato piu' interesse a stimare le specie a rischio, non necessariamente che si siano estinte piu' specie, tutte nel 2016.

In ogni caso, ecco qui qualche esempio

acaenaLa prima dell'elenco dei caduti sul campo in ordine alfabetico e' una piantina hawaiiana, Acaena exigua, una rosacea conosciuta in inglese col bel nome di liliwai, e che era endemica delle isole di Kaua'i e Maui. Nel 1957 si trovo' quello che si pensava fosse l'ultimo esemplare e per i quarant'anni successivi nessuno l'ha piu' vista, e la si riteneva estinta. Nel 1997 pero' se ne trovo' un'altra in una remota e isolata palude in una zona montana di Maui, ma e' morta nel 2000. Quest'anno si son perse le speranze di trovarne altre e la specie e' stata dichiarata estinta (confermando la precedente dichiarazione del 2003) a causa dell'introduzione dei maiali ferali alle Hawaii.

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Melomys-rubicola-extinction-coverMelomys rubicola era un topino che viveva su Bramble Cay, un minuscolo atollo sabbioso (5 Ha) della barriera corallina australiana, nello stretto di Torres tra Australia e Nuova Guinea. Nel 1983 se ne stimavano diverse centinaia. L'ultimo individuo fu visto nel 2009 e malgrado estese ricerche nel 2014 non si e' riusciti a trovarne altri e la specie e' stata dichiarata ufficialmente estinta il 14 giugno 2016. Non e' questione da poco, poiche' l'estinzione sarebbe dovuta a un intensificarsi delle tempeste sull'atollo come conseguenza diretta dei cambiamenti climatici, che portavano ad allagamenti dell'isola e distruzione della vegetazione. In altre parole Melomys rubicola e' la prima vittima accertata e diretta del riscaldamento globale. Siccome al peggio non c'e' mai fine, nel 2008 si propose un progetto di riproduzione in cattivita' per salvare la specie finche' si era in tempo, ma la proposta fu cancellata proponendo invece azioni mai portate a termine o inadeguate.

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Ecnomiohyla_rabborumIl 26 settembre 2016 si e' spento serenamente nella sua teca ai giardini botanici di Atlanta Toughie, l'ultimo esemplare di Ecnomiohyla rabborum, o raganella dei Rabb dalle zampe orlate. Le mani e i piedi erano molto grandi e sottendevano una membrana con cui la rana planava di albero in albero, come se avesse avuto quattro piccoli paracadute, anche per 9 m, cioe’ 100 volte la lunghezza dell’animale. A spostarsi di ramo in ramo era pero’ soprattutto la femmina, perche’ i maschi erano sedentari e se ne stavano tutto il giorno a far la guardia alla loro pozza d’acqua nella cavita’ di un albero. Le femmine deponevano le uova nella pozza e andavano via, lasciando il maschio a occuparsi della prole. Alla schiusa delle uova i girini staccavano e mangiavano brandelli della pelle del papa’, che si immergeva nella pozza per nutrire in questo modo stravagante i suoi piccoli. La specie fu scoperta nel 2005 ma fu subito classificata come critically endangered a causa dell’infezione del fungo Chitridio. L’ultimo canto in natura fu udito nel 2008 e l’ultima femmina mori’ in cattivita’ nel 2009, senza riprodursi. Non sappiamo che eta' avesse Toughie perche' quando fu catturato nel 2005 era gia' adulto. La specie fu descritta solo nel 2008, per essere dichiarata estinta solo otto anni dopo. Il fungo Chitridio sta decimando gli anfibi in tutto il mondo, non solo questa specie.

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StephansRiffleBeetle_USFWSTra gli invertebrati, con un comunicato ufficiale dello U.S. Fish and Wildlife Service sappiamo che il 5 ottobre 2016 sono stati ufficialmente dichiarati estinti due coleotteri americani, Heterelmis stephani (Coleottero di Stephan) dell'Arizona e Pseudanophthalmus parvus (o coleottero della grotta Tatum) del Kentucky. Di entrambe le specie era noto da almeno due decadi che avrebbero avuto bisogno della protezione del governo federale per sopravvivere, ma non e' arrivata. Si trattava di due insettini minuscoli che vivevano in microhabitat ultraspecializzati e naturalmente essendo piccoli li si e' ritenuti meno importanti di un puma o di un orso. Oddio, non e' che il governo federale sia gentilissimo anche verso i grandi mammiferi, vai in prigione se tocchi una specie con protezione federale, ma puoi distruggere il resto dell'ecosistema senza grossi problemi. Questi due coleotteri erano sopravissuti ai clovis, agli indiani, ai coloni, ai cowboys, alla guerra civile, ma non alle lungaggini burocratiche, una calamita' peggiore dei meteoriti, a quanto pare.

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bettongSono state inoltre ufficialmente dichiarate estinte nel 2016 due specie di bettong. I bettong, o ratti-canguro, sono dei marsupiali grossi piu' o meno come conigli, vegetariani, ben adattati a climi aridi, con una specie che scava gallerie, l'unica a farlo tra i parenti stretti dei canguri; saltano sulle zampe posteriori come canguri se hanno fretta, ma sono anche capaci di spostarsi sulle quattro zampe. Le due specie dichiarate estinte sono Bettongia anhydra, o bettong del deserto, e Bettongia pusilla, o bettong nano di Nullarbor. Il primo e ultimo esemplare mai visto vivo di bettong del deserto risale al 1933. O meglio, non esattamente visto vivo, l'esploratore Michael Terry riporto' un cranio danneggiato di un esemplare appena ucciso nel deserto dei Tanami, nel territorio del nord in Australia. Da allora lo si e' cercato disperatamente, ma non se ne sono trovate tracce, neanche nella tradizione orale aborigena, salvo dei resti fossili in Australia orientale, per cui si pensa fosse una creatura molto elusiva che viveva a bassa densita' in un terrotorio molto vasto ma desertico. Si ritiene si sia estinto intorno agli anni '50-'60 del secolo scorso, ma e' difficile dirlo, magari non e' affatto estinto ma ci evita, oppure e' semplicemente una sottospecie di un altro bettong che vive nell'area, il boodie, ma forse non lo sapremo mai. I fatti pero' sembrano contro di lui e nel 2016 lo si e' dichiarato ufficialmente estinto. Ancora piu' elusiva e' la storia del bettong nano di Nullarbor. Nullarbor e' una enorme pianura calcarea, l' antico pavimento di un mare poco profondo, dove non c'e' acqua e non ci sono alberi (da cui il nome), la quintessenza dell'outback australiano. Il bettong nano di Nullarbor non e' mai stato visto vivo da nessuno, anzi e' stato identificato come specie solo nel 1997, sulla base di resti subfossili. Alcune evidenze portano pero' a dire che esisteva in tempi relativamente recenti, forse anche nel 1987, ma oramai lo si ritiene estinto. Non esistono foto di questi due animali, per cui inserisco la foto di un altro bettong (eastern bettong, pure lui se la passa malino, ma questo esemplare e' sazio e felice) giusto per dare un'idea.

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cleliaClelia errabunda era un serpente endemico dell'isola di Saint Lucia nei Caraibi ed apparteneva all' insolito gruppo di serpenti "cannibali" del genere Clelia (chiamati comunemente mussurana), specializzati nel nutrirsi di altri serpenti. Era un serpente piuttosto grande e come gli altri mussurana prendeva gli altri serpenti dalla bocca, li stritolava con le spire e li ingoiava, possibilmente ancora vivi. Inclusi i temibili serpenti del genere Bothrops, delle vipere dal veleno mortale anche per l'uomo, ma a cui Clelia errabunda era immune. Questo serpente era dotato di denti rivolti all'indietro e produceva un veleno poco tossico, per cui non sono noti casi di avvelenamenti da mussurana. Una specie utilissima, quindi, ma che e' scomparsa a causa della pressione antropica sull'isola: se ne sono perse le tracce da decenni malgrado lo si sia cercato in lungo e in largo, e quest'anno e' stato ahime' dichiarato perso per sempre. Anche in questo caso, non essendoci foto, ne inserisco una di una specie simile, Clelia occipitolutea, intenta a fare quello che le piace di piu'.

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warblerTra gli uccelli, fresco fresco quest'anno ci siamo giocati con certezza l'usignolo delle canne di Guam (Acrocephalus luscinius). Guam e' una delle isole Marianne, giusto nel mezzo dell'oceano Pacifico, dove l'introduzione accidentale del serpente bruno Boiga irregularis dall'Australia ha creato un disastro ecologico senza precedenti: in assenza di predatori, i serpenti si sono riprodotti a dismisura e hanno divorato tutto quello che trovavano, trasformando Guam in un deserto verde. L'ultimo avvistamento di questo uccello risale al 1969 nella palude di Agana, dove sino all'anno prima era ritenuto "abbondante". La specie aveva pero' gia' sofferto moltissimo della perdita di habitat e per l'uso di pesticidi, e da quest'anno e' ufficiale che non ce ne siano piu'.

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Di uccelli estinti quest'anno ce ne sono forse davvero troppi. qualche altro esempio sono il Pipilo naufragus delle Bermuda, la Foudia delloni di Réunion, il "misterioso uccello di Ulieta", ovvero lo storno Aplonis ulietensis, Oʻahu ʻakepa (Loxops wolstenholmei), che dal nome si intuisce che era Hawaiiano,  Himatione fraithii di Laysan,  Acrocephalus astrolabii, una silvia di Mangareva molto simile all'usignolo delle canne di Guam, Acrocephalus nijoi, come sopra, ma di Aguijan, un'altra delle Marianne, Acrocephalus musae, come sopra, ma delle isole Societa', Acrocephalus yamashinae, come sopra, ma di Pagan, un'altra delle Marianne, il pigliamosche arancio minore  Pyrocephalus dubius, Zosterops semiflavus delle Marianne, Kauia Akialoa (Akialoa stejnegeri), Lanai Akialoa (Akialoa lanaiensis). Tutte specie che sono state riconosciute come tali solo dopo che si sono estinte a causa di predatori alloctoni.

Lo scopo di questo post non era deprimervi, anche se temo di esserci riuscita.

Dal lato delle buone notizie allora ecco un paio di grandi scoperte del 2016

beaked-whale-illustrationUdite udite, nel 2016 abbiamo identificato una nuova specie di balena, tutta nera e lunga sette metri. Questo animale non e' mai stato visto vivo dagli scienziati, tutto quello che se ne sa e' che ogni tanto se ne spiaggia una carcassa, o un pezzo di carcassa in Giappone. Le analisi del DNA confermano che si tratta di una specie di balena coi denti nuova alla scienza, che pero' ancora non ha un nome. I balenieri giapponesi (tristemente esperti in materia sia di balene che di estinzioni), le chiamano karasu, che vuol dire corvo, per via dell'insolito colore nero. Speriamo di riuscire a vederle vive prima che i balenieri giapponesi le trasformino tutte in sushi.

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klingon newtNel bacino del Mekong, un'area di enorme biodiversita' che sta scomparendo in tempi spaventosamente rapidi, gli scienziati hanno identificato ben 163 nuove specie! Precisamente, 14 rettili, 11 pesci, tre mammiferi, nove anfibi e 126 piante. Tra questi, quello che piace di piu' ai media e' il tritone dei Klingon, gli alieni di Star Trek con la fronte corrugata, che vive in Thailandia. Ma se ci manca David Bowie, ora c'e' il suo serpente tra noi, Parafimbrios lao, chiamato "Ziggy Stardust" per via delle scaglie iridescenti sul capo.

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Buon 2017 a tutti, con l'augurio che il bilancio tra specie trovate e specie perse in questo nuovo anno sia finalmente tutto a favore della biodiversita'.

Disgattamento globale

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Il nostro rapporto coi gatti domestici e' bipolare. Li amiamo, li odiamo, li amiamo, li odiamo... Sembra piu' o meno il rapporto che i felini hanno con le porte chiuse, da cui vogliono continuamente uscire, rientrare, uscire, rientrare... Al momento, se da un lato i gatti sono gli assoluti beniamini e protagonisti dei social media, dall'altro sono anche l'oggetto di una delle campagne di controllo, quella australiana, piu' brutali di tutti i tempi, con molte altre nazioni che intendono seguirne l'esempio.

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La "caccia alle streghe", e ai loro felini, portata avanti nel medioevo nei confronti dei gatti era probabilmente una minuzia rispetto a quello che si prospetta per loro oggigiorno, poiche' sono considerati una delle specie invasive peggiori che si conoscano e sono responsabili, soprattutto in Australia e nelle piccole isole, di vere e proprie stragi di piccoli mammiferi, rettili e uccelli e partecipano attivamente alla loro estinzione. Se ne era gia' parlato su questo blog (clicca qui), ma dopo essere uscita, ora voglio rientrare e guardare la questione dalla prospettiva opposta, quella dei gatti.

Tutti questi tentativi di controllo ed eradicazione dei felini di casa, hanno senso? Lo sterminio dei gatti e' una inutile caccia alle streghe o ha un effettivo valore ecologico? La risposta, come sempre, e': "dipende".

Cominciamo con l'Australia, poi ci guardiamo un po' intorno e infine ci focalizziamo sull'Italia.

Australia

Dal 1700 l'Australia ha perso 54 specie di animali (di cui 29 mammiferi, l'11% di tutti i mammiferi australiani; nello stesso periodo di tempo il resto del mondo ha perso 54 mammiferi) e 39 piante.

In Australia ci sono tra i due e i sei milioni di gatti ferali, che si nutrono di uccelletti, roditori e marsupiali piu' o meno rari. Il governo federale ha stanziato fondi e lanciato una campagna per eliminare due milioni di gatti ferali entro il 2020 con vari metodi che includono le doppiette dei privati cittadini, le catture e il veleno, piu' o meno come vogliono fare da noi con le nutrie. La motivazione e' che secondo il governo ogni gatto uccide mille animali l'anno, che vanno dai grilli ai piccoli roditori, e moltiplicato per due milioni fa due miliardi (insetti inclusi), e' una bella cifra. Secondo il Responsabile per le Specie a Rischio Gregory Andrews, "i gatti sono la principale singola minaccia per le specie native e hanno gia' portato all'estinzione 20 dei 30 mammiferi persi".

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Tutto giusto, i gatti sono una effettiva minaccia per le specie native, evolutesi con predatori molto piu' lenti e meno efficaci (Tutti o quasi i predatori marsupiali, per esempio, tendono ad avere le zampe plantigrade come gli orsi anziche' camminare sulla punta dei piedi come i felini, e questo li rende piu' lenti). Inoltre i gatti hanno solo due predatori principali, i dingo e le aquile, se non si contano tutte le decine di velenosissimi serpenti australiani.

Ma sono davvero la sola causa di estinzione delle specie australiane?

L'Australia ha una storia biogeografica ed ecologica complicata, ci sono stati molti cicli di estinzioni e ricolonizzazioni, qui potete leggerne i dettagli, e questo ha fatto si che la fauna australiana prima del Capitano Cook ospitasse meno specie di quelle che un simile ambiente si stima possa ospitare. Meno biodiversita' significa meno resilienza a interferenze da fattori esterni, come le specie alloctone. Il danno e' tanto piu' grave se si pensa che l'87% dei mammiferi, il 93% dei rettili, il 94% delle rane, il 45% degli uccelli e l'85% delle piante del continente sono endemici, cioe' si trovano solo li e in nessun altro luogo al mondo.

Malgrado cio', negli ultimi duecento anni l'australia ha perso il 40% delle sue foreste, eliminate principalmente per far posto alla produzione di grano. Secondo il WWF circa il 70% delle foreste dell'Australia orientale e' stato distrutto o disturbato, ma solo il 18% dell'area gode di una protezione di qualche tipo, spesso minima. Quel che rimane e' frammentato, non ci sono corridoi che uniscano le varie foreste e questo fa si che le specie restino isolate perdendo diversita' genetica e quindi "indebolendosi". Non c'e' limite a questo declino, si prevede che da 3 a 6 milioni di ettari di foresta, sopratutto in Nuovo Galles del Sud e Queensland, potrebbero andar persi entro il 2030, l'80% della perdita globale di foreste. E' ben noto infatti che i gatti, come i castori, siano ghiotti di alberi. Non parliamo dei famosi gatti marini che distruggono le barriere coralline.

Sempre colpa dei gatti e' l'introduzione in Australia di 25 mammiferi, 20 uccelli, 4 rettili, un anfibio, 34 pesci, centinaia di specie marine, un numero imprecisato ma molto alto di invertebrati e 2800 piante, che vanno a fare concorrenza, predare e brucare sulla fauna e flora nativa. C'e' di tutto: gatti (ovviamente), volpi e cani, capre, maiali, dromedari, cervi, lepri, conigli, scoiattoli, piccioni, passeri, tordi, merli, gambusie, pesci rossi, tilapie, trote e molto altro. Se gatti, volpi e cani (dingo) predano, capre, maiali, pecore, mucche etc brucano, sottraendo cibo agli erbivori residenti e bevendo la pochissima acqua presente. Cio' crea un impatto ambientale almeno altrettanto devastante rispetto ai carnivori, ma e' ben noto che i gatti sono come i dromedari e bevono moltissimo, prosciugando i pozzi.

Il buon vecchio Gregory Andrews citato sopra ha di recente fatto arrabbiare molti in Australia dicendo che la distruzione degli ecosistemi per far posto a pascoli, campi e attivita' produttive umane varie ed eventuali, senza contare l'inquinamento, non e' il problema numero uno in Australia. Certo, perche' il problema secondo lui sono esclusivamente i gatti, e un po' anche le volpi. Perche' il fatto che la scienza dica che il problema e' la perdita degli ecosistemi naturali sotto la pressione antropica non fa vincere le elezioni. Vuoi mettere coi gatti, gia' testati dall'inquisizione, satanici, perfidi, infedeli e insopportabilmente pucciosi? Perche' mica Trump e' l'unico mentecatto a questo mondo. Adesso i siti governativi sono costretti a mettere i gatti al primo posto tra le cause di rischio ambientale, mentre la distruzione dell'habitat riceve solo un modesto quarto posto. Perche' dei 400.000 ettari di foreste tirati giu' in Queensland nel 2016 e' molto meglio non parlare. Secondo il CSIRO la deforestazione uccide ogni anno 50 milioni di mammiferi, uccelli e rettili solo in Queesnalnd e Nuovo Galles del Sud.

Se siete arrivati a leggere sin qui, andate avanti qualche altro rigo per favore. NON voglio dire che i gatti non siano un problema in Australia. Lo sono, eccome se lo sono, e anche uno molto serio! Voglio dire che distruzione dell'habitat, caccia e pesca eccessiva, introduzione di specie alloctone, reazioni a catena di cambiamenti ecologici, sfruttamento sconsiderato delle risorse idriche, inquinamento, malattie (si pensi al fungo chitridio che sta sterminando gli anfibi australiani ai gatti che mangiano rane) incendi e cambiamenti climatici tutti insieme contribuiscono alla vertiginosa perdita di specie in Australia. Se vogliamo salvare i bilby limitarsi a eliminare i gatti non serve, se i bilby non hanno un ambiente adatto dove vivere e se vengono le vacche a fregargli la poca erba.

In aggiunta, studi sulle volpi, in Australia controllate sin dalla fine del XIX secolo, dimostrano che se non si elimina almeno il 65% della popolazione annua il controllo non solo e' inutile, ma anche dannoso perche' aumenta la mobilita' della specie. Analogamente, uno studio effettuato sul controllo dei gatti in Tasmania - ma che sorpresa!- e' giunto alla stessa conclusione: se l'intensita' degli abbattimenti non raggiunge un valore soglia molto alto tale da far crollare la popolazione (ben oltre il 50%) il controllo non solo e' inutile ma anche dannoso. I ricercatori concordano che per la riuscita di un programma di controllo e' necessario avere chiari gli scopi, coordinarli alla perfezione, e ci deve essere un netto vantaggio ecologico ed economico. Inoltre e' essenziale che l'efficacia del controllo venga costantemente monitorata, ad esempio controllando la perdita' di diversita' genetica della specie bersaglio [wow che emozione citarmi!]. Andare sui media a dire che bisogna abbattere due milioni di gatti in dieci anni, senza far nulla per risanare l'ambiente, non risponde a questi requisiti.

Per concludere, se si vogliono salvare i marsupiali australiani e' necessario a) smettere di tagliare le foreste b) controllare tutti gli alloctoni, non solo i gatti, in modo mirato e solo in aree sensibili, altrimenti diventa economicamente impossibile e poco attuabile, c) limitare la competizione tra marsupiali erbivori e bestiame d) nominare Responsabili per le Specie a Rischio che non siano emuli di Donald Trump e delle sue fake news.

Isole

I gatti vanno eradicati dalle piccole isole, punto. Insieme a ratti, topi, manguste, capre, maiali, cani ed eventuali altre specie invasive tipo il serpente Boiga irregularis su Guam. Magari laddove possibile anche insieme a Homo sapiens, il peggiore di tutti.

Questo apre un problema: quanto e' piccola una piccola isola? Nessuno discute di Mauritius o di Sant'Elena. Ma l'Inghilterra e la Tasmania sono piccole isole? Dipende. La Tasmania oltre a essere un'isola soffre esattamente degli stessi problemi citati per l'Australia, ma eradicare i gatti e' oramai impossibile perche' sono troppi, e per ovvi motivi legati all'impatto sociale della cosa.

Anche in Gran Bretagna e Irlanda e' ovviamente impossibile eradicare i gatti, ma sulla Gran Bretagna, da dove provengono molti studi sul pericolo dei gatti di casa per la fauna, occorre spendere due parole. L'ecosistema inglese e' sempre stato piuttosto fragile, poca biodiversita' dovuta al fatto che nell'ultima glaciazione si era estinto tutto o quasi perche' le isole britanniche erano interamente coperte dal permafrost. Poi e' arrivata la rivoluzione industriale e hanno tagliato via praticamente tutti gli alberi, erano arrivati ad avere meno del 3% del paese coperto da boschi, quindi estinzioni locali a raffica. Ora stanno ripiantumando ma nel frattempo hanno importato la maggiore quantita' di specie alloctone d'Europa. Ricalcano quindi in piccolo esattamente la situazione dell'Australia, con l'eccezione della limitatezza dell'acqua, ma almeno la fauna inglese nativa non e' endemica.

gatto del cheshire

I gatti sono un problema? Si lo sono, ma quasi tutto lo e' dove l'ecosistema era stato spazzato via e ora ti tocca chiamare "foresta" il giardinetto dietro casa. Ma in questo momento non eliminerei i gatti ferali urbani, e neanche le volpi urbane: nell'ultimo anno il numero di ratti a Londra e' aumentato del 10% e siamo ai livelli parigini di due ratti a persona, cioe' a Londra ci sarebbero quasi venti milioni di ratti. A West London dove vivo io secondo questo sito ci sono solo 12000 gatti. Dovrei smettere di aprire costose scatolette ai miei quattro lavativi ma purtroppo li ho condizionati a non cacciare esseri viventi, e ora mi tocca tenermi gatti e ratti. Bisogna anche sottolineare che prima del taglio a zero delle foreste il gatto selvatico, Felis sylvestris, era parte della fauna nativa dell'isola, quindi i passerotti e i tordi, a differenza degli uccelli australiani, si sono evoluti insieme ai gatti in un rapporto preda-predatore classico, e hanno meccanismi di difesa. Non hanno invece meccanismi di difesa contro le doppiette dei cacciatori e la perdita di habitat.

Stati Uniti

Gli USA sono la nazione al mondo che conta il maggior numero di specie estinte e ha un tasso di estinzione altissimo. Pero' e' anche vero che sono quelli che spendono di piu' in questo genere di ricerca quindi e' possibile che ci sia un bias in questo conteggio. A prescindere da tutto, l'ecosistema americano prima dell'arrivo dell'uomo 10000 anni fa era ricchissimo e diversissimo. L'arrivo dell'uomo dalla Siberia, che si era portato dietro il cane, ma non il gatto che all'epoca non era ancora stato addomesticato, causo' l'estinzione della megafauna americana, esattamente come l'arrivo degli aborigeni (e successivamente del dingo) in Australia causo' l'estinzione della megafauna australiana.

Poi sono arrivati gli europei e hanno importato di tutto, gli USA sono anche uno dei paesi al mondo con maggiore numero di specie invasive, ma hanno anche devastato l'ambiente, e continuano a farlo in allegria. I gatti hanno un impatto sulla piccola fauna americana? Si ce l'hanno, notevole, come in Australia e molto piu' che in UK. In Nord America infatti ci sono grandi felini come i puma e le linci, ma non piccoli felini della stazza di un gatto, specializzati a predare roditori e uccelletti. La mancanza della nicchia ecologica del piccolo felino ha fatto si che le prede dei gatti come i piccoli roditori non si siano coevoluti con questo tipo di predatore, e quindi sono piu' vulnerabili. Non ci dovrebbero essere gatti ferali e i gatti di casa non dovrebbero essere liberi di vagare. boudicca topoMa considerando che gli americani girano armati e sparano a qualunque cosa ho qualche difficolta' a dire che i gatti devono stare in casa mentre i padroni armati di Smith&Wesson possono girare liberamente. Terrei in casa entrambi. Sul fronte delle buone notizie gli USA pullulano di predatori per i gatti di casa: lupi, volpi, coyote, rapaci, serpenti, linci, puma, orsi, c'e' l'imbarazzo della scelta. Va da se' che e' colpa dei gatti se ora il Midwest e' uno sconfinato campo di grano, soia e mais dove l'acqua viene sbarrata e deviata causando estinzioni a raffica della (ex) diversissima fauna ittica americana. Vogliamo salvare i sorci nativi americani? Teniamo i gatti in casa, eliminiamo quelli ferali dove possibile, ma allo stesso tempo smettiamo di spargere ovunque inquinanti e fitofarmaci, altrimenti ci stiamo solo prendendo per i quarti posteriori.

Italia

E veniamo finalmente a guardare quello che succede in casa nostra. Abbiamo un sacco di gatti, molti ferali, che si nutrono a spese della fauna selvatica. Ma a differenza degli USA o dell'Australia i gatti in italia non sono alloctoni. Il DNA del gatto di casa e' una macedonia di DNA di varie specie tra cui il Felis sylvestris, il gatto selvatico. Il Felis lybica da cui il gatto di casa principalmente discenderebbe e il Felis sylvestris sono interfecondi e il gatto di casa deriva da oculati incroci e selezioni di questi e altri felini.  Non abbiamo perso i gatti selvatici solo perche' hanno un brutto carattere e odiano tutti, per cui e' difficile che incontrino altri gatti se non selvatici come loro. Dal punto di vista dello stile di caccia pero' sono molto simili, le differenze riguardano principalmente il loro rapporto con noi e con i conspecifici. Gli uccelli e i roditori sono quindi coevoluti con felini specializzati a predarli. Da quando i gatti domestici sono ufficialmente sbarcati in Italia portati dalle navi fenice sono passati circa 2500 anni. In questi 25 secoli se qualcosa si doveva estinguere si e' estinto, come la megafauna americana che e' durata imbarazzantemente poco, dopo l'arrivo dei Clovis. Gli alloctoni sono davvero veloci nel far fuori tutto quello che mangiano o con cui competono. Ma i gatti domestici non hanno avuto il trend esplosivo tipico degli alloctoni, per il semplice motivo che non erano esattamente alloctoni, c'erano gia' sia i gatti selvatici, sia i loro predatori, sia tutti gli altri competitori abituati ad avere a che fare coi gatti. Se vogliamo l'esplosione demografica la stanno avendo ora per colpa nostra, ma la maggior parte dei gatti ferali risiede nelle citta' dove fa poco danno: per un gatto ferale girare nelle campagne non e' facile, la fuori e' pieno di cani, volpi, martore, faine, rapaci e recentemente anche lupi e sciacalli. Devi essere un gatto selvatico (e non rinselvatichito) per trovarti bene in un simile ambiente perche' hai 5000 anni di selezione naturale che ti portano a vivere con l'uomo e non a evitarlo. Rischiano di fare estinguere le specie? Ne dubito. ancora una volta i problemi ambientali andrebbero guardati nel loro complesso e non un fattore alla volta. Se e' vero ad esempio che alcuni gatti fanno fuori i pipistrelli perche' li aspettano al nido, e' anche vero che i pipistrelli sono a rischio per via dei nostri insetticidi e per la perdita di siti dove nidificare. Dobbiamo controllare e abbattere i gatti ferali? A che scopo, se non serve a nulla neanche in Tasmania dove si che i gatti sono pericolosi? Dobbiamo tenerli in casa la notte? Secondo me si. Dobbiamo proteggere l'ambiente? Decisamente si. Il nostro territorio tuttavia non e' male, ce lo dice il ritorno dei grandi carnivori, quindi non siamo nelle situazioni di fragilita' dell'Australia e della Nuova Zelanda. La nostra biodiversita' e' elevata, si trovano specie rare persino nella distrutta pianura padana. Questo aumenta la resilienza del sistema, le estinzioni dei roditori locali diventano poco probabili anche in presenza di un buon predatore, perche' ci sono i suoi superpredatori a controllarlo.

Conclusione

Non lanciamoci in facili emulazioni con nazioni che hanno una storia biogeografica e una ecologia completamente differente dalla nostra. L'Italia non e' ne' un'isola come la Gran Bretagnoa o la Nuova Zelanda, ne' isolata come l'Australia, e ha un ambiente decisamente migliore di molte zone degli USA. Teniamo i gatti in casa la notte se portano specie come moscardini o rondini, ma prima di decidere come gestire il territorio andrebbero fatti studi mirati ad hoc per capire l'impatto di predatori nativi e alloctoni. A controllare i gatti ferali solo perche' lo fanno gli australiani si rischia solo di fare ulteriori danni, le risorse sono poche e occorre decidere delle priorita'. E gestire un ambiente senza dati secondo me non e' una priorita'.






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